Ma la vita del professore non è tutta libri e discorsi, egli continua a vivere a “The Kilns” assistendo Mrs. Moore. La donna, non più nel pieno delle proprie forze, è anche affidata alle cure di due governanti. Inoltre egli trascorre parecchio tempo insegnando ad alcuni bambini profughi di guerra (per lo più provenienti da città più a rischio di bombardamento), ai quali ha offerto ospitalità in segno di collaborazione concreta col paese in guerra. Anche Warren è chiamato alle armi e questo non lo lascia tranquillo. Gli scrive spessissimo. Teme infatti per la sua incolumità, soprattutto perchè pensa che egli, in momenti di depressione, possa darsi all’alcool.[1] In quest’atmosfera familiare, caratterizzata dagli schiamazzi dei bambini e dalle necessità della vita domestica, il buon Jack accudisce la sempre più insofferente Mrs. Moore, costretta a passare la maggior parte della giornata a letto. Ma, pur preso da questi impegni, Lewis comincia a scrivere quella che sarebbe stata l’opera più conosciuta ed amata tra i suoi libri: Le cronache di Narnia.
Come detto, Jack legge da bambino i racconti di Edith Nesbit, tra cui The aunt and Amabel, dove si parla di un mondo magico cui si accede attraverso un armadio in una stanza vuota. Quest’immagine unita alla realtà quotidiana dei bambini sfollati alloggiati a “The Kilns”, gli dà l’ispirazione per quel che poi sarebbe stato il primo di sette libri di Narnia.[2] Ecco come Lewis descrive il processo di creazione di questo mondo fantastico:
Io vedo immagini. Alcune immagini hanno lo stesso sapore, quasi lo stesso profumo, che le accomuna. Aspetta e guarda ed esse cominceranno ad unirsi tra loro. Se sei fortunato (io non sono mai stato fortunato fino a quel punto) un intero gruppo di immagini potrebbe riunirsi così solidamente da formare una storia completa, e senza che tu faccia nulla. Ma più spesso (come sempre accade nella mia esperienza) ci sono dei vuoti. Allora devi essere tu, infine, a fare qualche deliberata invenzione.[3]
Nel Natale del 1948 Lewis comincia a leggere la sua storia agli “Inklings”. L’amico Tolkien, in realtà, non ne rimane contento. Ha infatti l’impressione che l’opera sia una accozzaglia di storie, fragile e contraddittoria. Un miscuglio di mitologie che, secondo lui, rendono vano lo sforzo dell’amico. Sayer racconta così l’amarezza di Jack:
Jack era sempre stato costruttivamente collaborativo e accondiscendente con gli scritti di Tolkien, e si aspettava probabilmente lo stesso trattamento. Egli fu ferito, rimase sconvolto e scoraggiato quando Tolkien disse che pensava che il libro era quasi inutile, che sembrava una giungla di mitologie senza relazione tra loro. Poiché Aslan, i fauni, la strega bianca, Babbo Natale, le ninfe e i signori Castoro avevano distinte origini mitologiche ed immaginative, egli pensava che fosse un terribile errore metterli insieme a Narnia, un singolo paese immaginario: il risultato era pieno di incongruità e, per lui, doloroso. Ma Jack rispose che essi esistevano già felicemente insieme nelle nostre menti nella vita reale. Tolkien rispose, “non nella mia, o almeno, non allo stesso tempo”. Tolkien non cambiò mai idea.[4]
Lewis tiene in gran conto il giudizio di Tolkien, anche perché egli stesso dubita del valore della sua nuova storia. Di certo, senza le lodi e l’incoraggiamento di altri suoi amici come Humphrey Haward e il suo ex studente Roger Green, egli non avrebbe probabilmente portato mai a termine il suo capolavoro. Anche l’editore Geoffrey Bles dubita del successo del libro, anzi teme che esso possa danneggiare la sua reputazione e pregiudicare la vendita di altri suoi libri. Tuttavia, Bles suggerisce di presentarlo come il primo libro di una serie di storie per bambini e lo pubblica nel 1950 col titolo: The lion, the witch and the wardrobe. L’opera, invece, ha un clamoroso successo e Lewis diventa un acclamato scrittore per ragazzi. Ciò lo convince a proseguire nella via intrapresa. Così, tra il 1950 e il 1955, i sette libri de Le cronache di Narnia, con accresciuto successo, vedono la luce. Nello scrivere quelle storie la cosa più importante per Lewis è la sua capacità di stupirsi. È quello un dono ereditato dallo scrittore londinese Chesterton, quando a vent’anni, leggendo i suoi scritti, ha scoperto ed apprezzato il gusto che i bambini hanno per il bello ed il buono. Ciò ha lenito le amarezze della sua adolescenza. Chesterton, infatti, nella sua celebre opera Ortodossia, afferma tutta la sua fede per il mondo delle fiabe: “Le cose in cui credevo e credo più fermamente sono le cosiddette fiabe. Le fiabe a me sembrano del tutto ragionevoli. Non sono fantasie. […]
Mentre scrive dei quattro ragazzi di Narnia, molti eventi segnano la sua vita. La salute di Janie Moore peggiora seriamente. Ancor di più deve ora prendersi cura di lei e della casa, occupandosi anche delle faccende domestiche. Janie avverte sempre più i gravi segni di una crescente senescenza. Frequenti sproloqui, pianti dirotti e atteggiamenti infantili connotano le sue giornate. Nella primavera del 1950, su perentorio ordine medico, la signora Moore è trasferita in una casa di cura. Egli va a farle visita ogni giorno e ciò in obbedienza alla promessa fatta tanti anni prima al defunto amico Paddy. Janie Moore muore in clinica nel gennaio del 1951. La sua morte, per quanto triste, segna per lui l’inizio di una nuova stagione di vita.
Riprende e porta a termine un progetto avviato nel 1944:
Anche la sua vita accademica ha una svolta fortemente significativa. A partire dal 1925 Lewis lavora al Magdalene College nelle vesti di Tutor e Fellow. Ancora oggi quello di Tutor, secondo il Tutorial system caratteristico dei college di Oxford, è il ruolo di un professore designato che segue gli studenti individualmente. Il Fellow, anche chiamato Don, è un professore con funzioni di insegnamento, ricerca ed amministrazione del college cui appartiene. Ma solo il Professor è colui che detiene il privilegio di una cattedra di insegnamento. Anche Lewis aspira ad una Professorship, cui si accede con una regolare votazione da parte di tutti i membri della comunità accademica. Molti sono i suoi ammiratori, ma altrettanti i detrattori. Non gli perdonano mai di aver caldeggiato la promozione di Adam Fox alla cattedra di poesia, cosa di cui lo stesso Lewis si pente dopo aver assistito, con delusione, alle lezioni poco convincenti dell’amico. Inoltre, la sua carriera d’apologeta cristiano è per una certa corrente materialista di Oxford intollerabile, soprattutto perché egli l’ha resa ancora più popolare col successo dei suoi libri, delle conferenze e delle trasmissioni radiofoniche. Nella cosiddetta “Oxford senior common room” del Magdalene College, ambiente riservato ai gentiluomini della comunità accademica, è di norma un certo scetticismo o almeno indifferenza verso il cristianesimo: Jack viola sistematicamente quel codice, non scritto, con il suo dialettico, ma naturale atteggiamento che a volte sembra voglia o intende davvero convertire gli altri.
L’8 febbraio
Jack l’ha presa sorprendentemente bene, molto meglio dei suoi sostenitori. L’unico appunto che Jack ha fatto è che i voti sono stati dati sulla base di questioni politiche da ambo i lati […]. Confesso che sono sconvolto per la virulenza del sentimento anticristiano mostrato qui.[8]
Ma se a Oxford si respira un’aria di secolarismo anticristiano, molto favorevole è invece l’ambiente di Cambridge, dove tanti sono gli ammiratori di Lewis e la maggioranza degli studenti e dei Dons sono cristiani. Nel 1954 la facoltà d’Inglese di Cambridge gli propone una cattedra d’Inglese medievale e rinascimentale, creata appositamente per lui. Dopo aver vinto la sua iniziale riluttanza ad ogni cambiamento, Lewis accetta di trasferirsi a Cambridge solo per i giorni feriali e continuare a vivere con il fratello a Oxford nei week-end e nelle vacanze. Invitato a tenere la sua lezione inaugurale davanti a tutta la comunità accademica, il 29 novembre del 1954, Lewis colpisce con la sua straordinaria capacità oratoria ed una brillante performance. L’assemblea di Cambridge lo omaggia con una poderosa ovazione raramente concessa ad un accademico.[9][1] Cf. SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 289.
[2] Cf. SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 311.
[3] Clive Staples LEWIS, On three ways of writing for children, in Walter HOOPER, Of other worlds: essays and stories by C. S. Lewis,
[4] SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 312-313. Traduzione personale.
[5] Gilbert Keith CHESTERTON, Ortodossia, Brescia, Morcelliana, 1980, 59.
[6] Cf. GULISANO, C. S. Lewis, 126-128.
[7] Cf. LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 157.
[8] Clyde S. KILBY and Marjorie Lamp MEAD (eds.), Brothers and friends: the diaries of Major Warren Hamilton
[9] Cf. GLASPEY, C. S. Lewis, 56-58.