Ben presto, Lewis completa la sua preparazione ed affronta gli esami d’ingresso ad Oxford. Col suo caratteristico pessimismo, egli è sicuro di non aver fatto bene, invece, gli si offre una delle tre borse di studio in materie classiche disponibili allo University College. La borsa di studio comprende alloggio e rimborso spese, ma non la garanzia di essere accettato ad Oxford: prima dovrebbe passare un’ulteriore serie di esami di ingresso chiamati “Responsions”. La parte classica di questi esami non presenterebbe alcun problema per Jack che, invece, è molto debole in matematica: nonostante la sua impostazione mentale estremamente logica egli ha poco interesse per questo aspetto che Kirkpatrick ha forse un po’ trascurato nella sua educazione. I “Responsions” dovrebbero essere niente più che una formalità per uno studente con borsa di studio, ma la cosa risulta per lui alquanto difficile, poiché Jack non riesce a passare proprio il test di matematica. Ci prova nel giugno successivo, ma fallisce ancora. Ciò che alla fine lo salva è solo il fatto che i “Responsions” non sono obbligatori per coloro che hanno fatto il servizio militare. È solo così che Jack riesce ad entrare ad Oxford. [1]
Quando Lewis comincia a prestare servizio militare, le sue lettere prendono ad includere riferimenti a nuovi amici come Paddy Moore.[2] Egli nomina anche la mamma di Paddy, Mrs. Jane King Moore, che vive ad Oxford per stare accanto a suo figlio in procinto di essere mandato sul fronte ovest.[3] Ben presto Jack e Paddy sono mandati in guerra e Jack passa il suo diciannovesimo compleanno sui campi di battaglia della Francia. Egli non dice molto a proposito del suo servizio militare, ma scrive queste interessanti righe che seguono:
Mi sorprende il fatto di non aver detestato maggiormente l’esercito. Era, naturalmente, odioso. Ma la parola “naturalmente” ne stemperava il fiele. Ecco in che cosa differiva da Wyvern (Malvern). Non ci si aspettava che ti piacesse. Nessuno pretendeva che ti piacesse. Nessuno fingeva che gli piacesse. Tutti davano per scontato che l’intera faccenda fosse un’odiosa necessità, un’orribile interruzione della vita razionale. La differenza stava tutta lì. È più facile sopportare le tribolazioni vere e proprie che le tribolazioni reclamizzate come un piacere.[4]
Dopo breve tempo al fronte, Lewis è colpito da quella che le truppe chiamano “febbre da trincea” e i dottori “piressia di origine ignota”. Egli, d’altra parte, considera positiva la malattia perché gli ottiene tre intere e dolci settimane all’ospedale francese di Le Tréport.[5] Si tratta di un evento molto significativo per il cammino spirituale di Lewis, poiché è proprio lì che legge per la prima volta le opere di Gilbert Keith Chesterton.[6] Apprezza molto il suo modo di scrivere e il fatto che Lewis abbia punti di vista diversi da quest’autore cristiano, non diminuisce affatto il suo piacere di leggerlo. Proprio come è attratto dal senso di “santità” delle opere di George MacDonald, è altresì attratto da ciò che definisce un senso di “bontà” che pervade gli scritti di Chesterton:
Per quanto strano possa sembrare, lo apprezzavo per la sua bontà. […] Il mio apprezzamento della bontà non aveva nulla a che fare con il tentativo di essere buono a mia volta. […] Sentivo il “fascino” della bontà come un uomo sente il fascino di una donna che non ha nessuna intenzione di sposare.[7]
Nel leggere Chesterton, come nel leggere MacDonald, non sapevo a cosa andassi incontro. Un giovanotto che desidera rimanere un perfetto ateo non può andare troppo per il sottile nelle sue letture. Ci sono trabocchetti sparsi dappertutto: “Bibbie lasciate aperte, milioni di sorprese”, come dice Herbert, “reti sottili e stratagemmi”. Dio è, se così possiamo dire, pochissimo scrupoloso.[8]
Scrittore molto produttivo, Chesterton è un giornalista che ama enormemente il dibattito, come del resto anche Lewis. Principalmente interessato di politica e temi sociali, scrive anche di critica letteraria, poesia, biografia ed apologetica cristiana. È a sua volta fortemente influenzato da George MacDonald. Hein stabilisce tra questi due autori come punto in comune, quello che definisce il “modo di pensare mitico”:
Gran parte del segreto del successo di Chesterton risiede nella sua abilità di racchiudere all’interno dei suoi scritti l’atmosfera del racconto di fate: è il modo di pensare mitico. L’identificazione del mondo magico con il reame dello spirito, che il locus del buon senso, suggerisce un’influenza diretta di MacDonald.[9]
Hein fa anche riferimento all’ironia di Chesterton che tanto diletta Lewis. Un’ironia che Chesterton usa a proposito della sua stessa conversione al cristianesimo. Egli è diventato cristiano, infatti, solo dopo aver maturato le sue convinzioni; ma proprio allora si rende conto che non sono risultati soltanto suoi: qualcuno ha già percorso la stessa strada:
Ho scoperto, non che esse [le mie convinzioni] non fossero verità, ma che semplicemente non erano solo mie. Quando ho pensato di essere il solo, ero certamente nella ridicola posizione di essere mantenuto da tutta
L’incontro con le opere di Chesterton, durante la sua degenza presso l’ospedale militare, sarebbe dunque un altro passo importante del cammino di Lewis verso Dio.
Appena dimesso, Jack è mandato di nuovo al fronte, ma lì giunto, è colpito da un’esplosione che uccide due dei suoi amici. Essere ferito si rivela in fin dei conti, una vera e propria benedizione per lui, dal momento che ciò gli salverà probabilmente la vita stessa. Infatti, il suo caro amico Paddy Moore, purtroppo non ce la fa: egli rimane ucciso su quei campi di battaglia, così come molti altri suoi amici. Janie Moore, la madre di Paddy, affranta per la perdita del figlio, va a visitare Jack, ferito in ospedale, e ciò significa tantissimo per lui. D’altro canto, inesplicabilmente, suo padre non va mai a trovarlo, nonostante le reiterate richieste di Jack. Una volta guarito, Jack mantiene la promessa fatta all’amico Paddy e si prende cura della madre Janie fino alla morte della donna. Essi vivono insieme per molti anni fino al ricovero di Janie in ospedale, prima della sua morte, e sembra che tra loro ci sia stato per lo meno una grande affetto.[11] Alcuni biografi di Lewis credono che egli fosse innamorato della donna, ma di fatto risulta impossibile stabilire quale fosse l’esatta natura della loro relazione: peraltro le lettere scritte ad Arthur Greeves tra il 4 Agosto ed il 28 Ottobre del 1919 sono scomparse.[12] Mrs. Moore ha 45 anni e Lewis solo 18 quando essi stabiliscono il loro rapporto di amicizia che egli cerca sempre di tenere lontano da suo padre. Di questo periodo Lewis stesso scrive più tardi, piuttosto enigmaticamente, nella sua autobiografia:
Tornai ad Oxford, “smobilitato”, nel gennaio del 1919. Ma prima di parlare della mia vita laggiù devo avvertire il lettore che sono costretto ad omettere un episodio importante e complesso. Non ho altra scelta che tacerlo. Tutto quello che posso o devo dire è che la mia antica ostilità nei riguardi delle emozioni venne pienamente e variamente vendicata[13]. Ma anche se fossi libero di raccontare il fatto, non credo che esso abbia molto a che fare con l’argomento del libro.[14]
Non sapremo mai se, con queste parole, Lewis si riferisce ad altro o ad una vera e propria relazione con
[1] SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 115-118.
[2] Edward Francis Courtenay Moore (1898-1918). Figlio di Jane King
[3] SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 126.
[4] LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 139.
[5] Cf. LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 140.
[6] Gilbert Keith Chesterton (1874-1936). Scrittore e giornalista inglese. Il suo contributo letterario fu di fondamentale importanza nel cammino di conversione di Lewis.
[7] LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 141.
[8] LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 141.
[9] HEIN, Christian mythmakers, 109. Traduzione personale.
[10] HEIN, Christian mythmakers, 112. Traduzione personale.
[11] Cf. GLASPEY, C. S. Lewis, 20.
[12] Cf. SAYER, Jack: a life of C. S. Lewis, 127-128.
[13] Il termine originale avenged è tradotto da Franco Marrano nell’edizione di Jaca Book con il termine punito. Tale scelta mi sembra stravolgere il significato dell’allusione di Lewis, la quale risulta certamente più logica e comprensibile traducendo l’espressione con la parola vendicata.
[14] LEWIS, Sorpreso dalla gioia, 146.